La santità ha tante strade
Sia lodato Gesù Cristo. Solennità di tutti i santi. La santità ha tante strade. La santità è lo scopo della nostra vita, è il motivo per cui siamo stati creati, è ciò che Dio aspetta da ciascuno di noi. Pertanto, è doveroso che ci chiediamo: ma chi sono i santi e quindi come dovremmo essere noi?
Innanzitutto, va detto che i santi non sono pochi, non sono rari i privilegiati, poiché tutti siamo chiamati alla santità e tutti siamo stati creati per la santità. Non è possibile che il progetto di Dio si esaurisca in poche persone: il sangue versato da Cristo deve avere un’immensa fecondità. Del resto, il libro dell’Apocalisse parla di una moltitudine immensa che nessuno poteva contare di ogni nazione, razza, popolo e lingua. E il numero 144.000 usato dall’autore è un simbolo per indicare che i santi sono tantissimi.
Va anche precisato che non si nasce santi, ma santi si diventa, lasciandosi modellare dalla potenza sanatrice di Cristo come da uno scalpello. Gilberto Chesterton giustamente ha osservato: “Cristo non è morto per gli eroi ma è morto per i deboli.” Pertanto, da ogni debolezza, con la grazia di Cristo, può sbocciare il fiore della santità. Quanto è consolante questa verità!
E la santità, pur essendo unica, ha volti diversi, così come diversi sono i temperamenti, diversi sono i tempi della storia, diverse sono le circostanze della vita. La santità di Teresa Di Lisieux che dall’età di 15 anni fino alla morte è vissuta in pochi metri quadrati nel Carmelo, è certamente diversa dalla santità dell’apostolo Paolo che, spinto da un fuoco interiore, ha viaggiato instancabilmente per annunciare il Vangelo di Gesù. La santità di Padre Pio da Pietrelcina che dal 1918 al 1968 non è mai uscito dal convento di San Giovanni Rotondo, è certamente diversa dalla santità di San Francesco Saverio che si è spinto fin sulla soglia della lontanissima Cina ed è morto guardando con nostalgia quell’immensa nazione che ancora non è stata raggiunta della luce di Cristo. La santità di Tommaso d’Aquino che ha spaziato nelle profondità dei misteri della fede, è certamente diversa dalla santità di San Giuseppe Benedetto Labre che conosceva soltanto i rudimenti del catechismo. Eppure ambedue sono santi.
La santità di Maria Goretti, che muore all’età di 12 anni difendendo la dignità della donna, la dignità del vero amore, è ben diversa dalla santità di Maria Teresa di Calcutta che fino all’età di 87 anni ha seminato opere, opere di misericordia in 120 nazioni della terra. Eppure ambedue sono sante.
La santità ha tantissimi volti, però ha necessariamente un punto di incontro, ha un’unica sorgente dalla quale sgorgano ruscelli che fanno percorsi diversissimi. Qual è questo punto di incontro? Qual è la sorgente unica?
Mettiamoci in ascolto di una santa che, pur avendo scritto soltanto tre piccoli quaderni di appunti, nel 1997 è stata dichiarata dottore della Chiesa da San Giovanni Paolo II. Parlo di Santa Teresa Di Lisieux. Nel settembre del 1896, un anno prima della sua morte avvenuta all’età giovanissima di 24 anni, Teresa di Lisieux, per ordine della Priora, scrive il secondo quadernino dei suoi racconti.
Ella dice che a un certo momento della sua vita provò una crisi di identità: nel suo cuore bollivano forti desideri contrastanti. Pensava che per essere santi bisognasse percorrere tutte le vie dell’eroismo. Ella pertanto desiderava essere carmelitana nascosta agli occhi del mondo, ma allo stesso tempo desiderava essere apostola, missionaria del Vangelo in tutti gli angoli della terra. Desiderava essere sacerdote, pensando con quanto amore avrebbe accolto Gesù nelle sue mani e l’avrebbe dato alle anime, ma nello stesso tempo desiderava non essere sacerdote, seguendo l’umiltà di San Francesco che rifiutò la sublime dignità del sacerdozio.
La piccola carmelitana soffriva, e le sembrava che il vento dei desideri di santità fosse come impazzito dentro la sua anima. Scrive: “Durante l’orazione i miei desideri mi facevano soffrire, soffrire un vero martirio, ma proprio nella preghiera Dio offre la luce e la pace al cuore di Teresa.”
Infatti, leggendo le lettere di San Paolo, si imbatte nel capitolo 12º della prima lettera ai Corinzi. Lì l’apostolo spiega che la Chiesa è il corpo mistico di Cristo, e nel corpo ci sono tante membra, cioè tante vocazioni, e sono tutte necessarie, necessarie per la vita del corpo. Annota Teresa nel suo diario: “La risposta era chiara, ma non colmava ancora il mio desiderio e ancora non mi dava pace.”
E ancora: “Come Maddalena,” continua Santa Teresa, “chinandosi sempre sulla tomba vuota finì per trovare colui che cercava, così abbassandomi fino alle profondità del mio nulla mi innalzai tanto in alto da raggiungere il mio scopo.”
È sempre Santa Teresa che continua: leggendo l’inno alla carità dell’apostolo Paolo capisce che la carità è il punto di partenza indispensabile e il punto di arrivo ineludibile di tutte le vocazioni. Pertanto, vivendo la carità, tutte le vocazioni si incontrano e tutti i cammini di santità si incrociano.
Così Teresa confida la sua meravigliosa scoperta. Ascoltiamola: “La carità mi diede la chiave della mia vocazione. Capì che se la Chiesa ha un corpo composto da diverse membra, l’organo più necessario, più nobile di tutti, non ne manca. Capì che la Chiesa ha un cuore e che questo cuore arde di amore. Capì che l’amore solo fa agire le membra della Chiesa; che se l’amore si spegnesse gli apostoli non annuncerebbero più il Vangelo, i martiri rifiuterebbero di versare il loro sangue. Capì che l’amore racchiude tutte le vocazioni. Allora, nell’eccesso della mia gioia delirante, esclamai: ‘Gesù, amore mio, la mia vocazione l’ho trovata finalmente! La mia vocazione è l’amore! Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto, o Dio mio, me l’avete dato Voi, nel cuore della Chiesa, mia madre. Io sarò l’amore. Così sarò tutto, cioè vivrò tutte le vocazioni, perché l’anima di tutte le vocazioni è l’amore.”
Tiriamo una conseguenza per la nostra vita: se la carità, come ci ricorda San Paolo e come sottolinea Santa Teresa di Lisieux, è l’anima di ogni percorso di santità, soltanto vivendo la carità acquista valore davanti a Dio tutto ciò che facciamo, mentre se ci viene a mancare la carità, siamo al di fuori del percorso della santità e fatichiamo invano e costruiamo sulla sabbia.
Senza la carità, senza l’amore, tutto ciò che facciamo, per usare un’espressione di San Paolo, vale quanto il tintino di un cembolo, cioè quanto un veloce rintocco di una campanella. Per l’intercessione dei santi, Dio ci conceda di capire quale correttivo dobbiamo dare ai comportamenti della nostra vita per camminare veramente nella via della santità, che coincide con la via della carità. È il miglior modo per festeggiare tutti i santi che sono in cielo e ci aspettano in cielo per quella stessa strada che hanno percorso loro: la strada dell’amore nella situazione concreta della nostra vita. Sia lodato Gesù Cristo.
(Commento a cura del Cardinale Angelo Comastri)