Il Signore viene a portare la gioia della salvezza – III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO A) – GAUDETE
LECTIO
Giovanni Battista, redarguendo quelli che andavano da lui senza una vera intenzione di cambiare vita, li spronava a fare frutti degni di conversione. Le opere di giustizia sono i frutti dell’albero buono che rappresenta l’uomo giusto. Non basta pregare usando parole che non nascono dal cuore ma sono ritornelli imparati a memoria e non è neanche sufficiente essere scrupolosi esecutori della legge se non si tende alla misura alta della giustizia che è la misericordia. È necessario fare la volontà di Dio. Chi la compie rivela di essere una persona dalla fede robusta che gli garantisce solidità e fecondità, anche nel tempo della prova.
Giovanni, stando nel deserto, aveva preannunciato la venuta del Messia il quale avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco. Egli immaginava il Cristo con i tratti di un giudice che avrebbe applicato in maniera rigorosa la giustizia retributiva, infliggendo la pena ai colpevoli e premiando i giusti.
Oltre al momento del battesimo, l’evangelista non menziona altri incontri tra Giovanni e Gesù, il quale inizia la sua missione pubblica a partire dal momento nel quale il Battista viene messo in carcere. È lì che lo raggiungono i resoconti di ciò che Gesù diceva e faceva e che l’evangelista espone dal capitolo 5 in poi.
Le opere del Cristo sono i suoi insegnamenti e le azioni miracolose con le quali guarisce gli infermi e libera gli indemoniati. La domanda che Giovanni pone a Gesù esprime il legittimo desiderio di essere confermato o smentito nelle proprie attese e di quelle del popolo. Non c’è modo migliore per conoscere e riconoscere la verità se non quello di interrogare il diretto interessato per non rimanere vittima delle proprie congetture che possono diventare un labirinto mentale.
Il Battista non è incredulo ma è in ricerca e, come tale, interroga non per mettere alla prova Gesù ma attendendo fiducioso una parola che poteva illuminare la sua speranza. Quella del Battista non è una domanda retorica, ma un quesito del quale si aspetta una risposta. In definitiva, sono proprio le opere di Gesù, creduto il Cristo, che suscitano l’interrogativo riguardante la sua identità.
Gesù affida la risposta ai discepoli del Battista i quali altro non devono fare che riferire ciò che odono con le loro orecchie e vedono con i loro occhi. Essi sono invitati ad essere testimoni del fatto che la promessa di Dio si realizza nelle vicende storiche degli uomini, soprattutto dei più deboli, i privilegiati di Dio.
Non si può essere autentici testimoni se non ci si mette dalla parte dei poveri assumendo il loro punto di vista e imparando da loro cosa significhi credere. I ciechi, i paralitici, i sordi guariti, i lebbrosi purificati, i morti rianimati sono i testimoni della forza di Dio e attestano che Gesù è il Cristo.
Dai racconti dei capitoli 8 e 9 si evince che il miracolo è compiuto grazie alla fede dei piccoli, ma anche che le guarigioni sono l’occasione perché nasca la fede. L’invito ad ascoltare e vedere con fede diventa missione: «Andate e riferite». I testimoni sono tali perché hanno il compito di narrare, non di emettere sentenze.
La Parola di Dio si rivela negli eventi che vanno raccontati più che analizzati. Il narratore è colui che portava avanti la Tradizione della Parola perché essa risuoni di generazione in generazione. Chi rinuncia al giudizio e accoglie la parola è veramente beato perché non inciampa nel pregiudizio ma si lascia illuminare dalla verità che cerca e che gli va incontro.
Gesù poi si rivolge alla folla interrogandola sulle loro attese e sulle motivazioni per cui sono andati da Giovanni. La triplice domanda provoca i discepoli alla riflessione su sé stessi. Anche in questo caso non ci si deve giudicare o semplicemente analizzare, ma si è invitati a dare un nome alle proprie attese e confrontarle con la realtà.
L’immagine della canna sbattuta dal vento e l’uomo dagli abiti sontuosi sono figure agli antipodi come lo è la miseria e la ricchezza. Stanchi di una vita vissuta con ritmi stressanti desideriamo la solitudine del deserto, oppure accarezziamo l’ambizione di avere sempre di più. Solo chi si lascia guidare dalla voce dello Spirito cerca chi lo possa aiutare a incontrare il Signore.
Giovanni è più che un profeta perché non solo con la sua parola ha disposto i cuori dei suoi discepoli ad accogliere il Messia, ma con il suo martirio ha reso intelligibile a Gesù la via sulla quale il Padre lo chiamava a compiere la sua volontà.
Gesù riconosce la ineguagliabile statura morale del Battista la quale, però, a confronto con quella spirituale di Gesù, il più piccolo nel regno dei cieli, risulta essere inferiore. La piccolezza nel regno dei cieli non si misura secondo i parametri sociali ma con quelli divini.
Le opere del Cristo sono lette dall’evangelista Matteo alla luce di due oracoli di Isaia che parlano del Servo di Jahve. Gesù opera esorcismi e guarigioni con la potenza della sua parola la cui efficacia è dovuta all’empatia del suo cuore. Egli non offre una prestazione ma opera un servizio perché la compassione lo spinge a coinvolgersi nelle vicende storiche degli uomini.
La missione di Gesù è riconducibile alla volontà di Dio che lo ha scelto, consacrato e inviato non per distruggere ma per convertire il mondo alla giustizia. Gesù è quel servo di Dio che viene con l’umiltà di chi si fa solidale con i fratelli portando con loro i pesi della vita.
Meditatio
La pagina del Vangelo di questa domenica si articola attorno a due domande. Nella prima Giovanni il Battista vorrebbe interloquire con Gesù per comprendere meglio chi sia veramente, nella seconda Gesù invita i discepoli alla riflessione. Il dubbio del Battista non contraddice la fede ma è parte integrante del processo di discernimento. L’interrogativo del profeta porta in sé l’eco della preghiera di chi chiede conto a Dio del suo operato. Gesù rinuncia a una risposta diretta per far parlare le opere che fa.
Le opere del Cristo sono opere di misericordia e rivelano la sua origine divina. I primi destinatari dell’azione salvifica di Dio sono gli ultimi, gli esclusi, quelli che tutti considerano falliti.Il Messia viene facendosi ultimo tra gli ultimi, povero tra i poveri, perché egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. Non cerca potere ma scende nei bassifondi dell’umanità per portare il Vangelo che risana e ricrea.
Tutti hanno potuto constatare che Giovanni non era manipolabile né connivente. Non seguiva il vento delle mode, ma aveva riconosciuto il tempo della salvezza. Similmente Gesù si pone a servizio degli ultimi e non dei potenti. Egli ci mostra la via della salvezza e ci accompagna nel cammino della vita perché possiamo maturare nella fede e testimoniare con la vita la carità di Cristo.
(A cura di Don Pasquale Giordano)