Instancabilmente
Se la condizione della donna al tempo di Gesù era davvero umiliata, quella della vedova rappresentava il caso limite. Chi avrebbe preso le sue difese? Chi avrebbe provveduto al suo bisogno?Una vicenda tanto ordinaria è presa a prestito da Gesù per rivelare qualcosa dei tratti del discepolo e di quelli del padre suo.
La tenacia con cui la vedova del Vangelo chiede continuamente che le venga fatta giustizia è paradigma dello Spirito che deve animare il discepolo nei confronti di Dio, davanti a Dio incessantemente e instancabilmente in ogni circostanza. Ci troviamo spesso di fronte a situazioni che vorrebbero compromettere quanto di più tipicamente umano ci appartiene. Quando questo accade attesta Gesù guai a mollare la presa. Non è forse vero che tanto riscatto umano accaduto nella storia lo si deve a uomini e donne che con fedeltà e tenacia hanno saputo ingaggiare vere e proprie lotte contro la spregiudicatezza di tanti?
Solitamente noi intendiamo la preghiera come l’ultimo appiglio difronte a qualcosa che sfugge alle nostre possibilità. Nel nostro modo di pensare, essa nasce laddove misuriamo tutta la nostra impotenza e come i pagani vorremmo piegare il divino ai nostri desideri, a suon di parole, così da catturare la sua attenzione barattata magari con qualche proposito che all’occorrenza poi rimetteremo in discussione. È più forte di noi la tentazione di insegnare il mestiere persino a Dio.
Quando parlava della necessità di pregare sempre senza stancarsi mai, non era questo ciò che intendeva Gesù. L’insistenza a cui faceva riferimento stava ad indicare la costante disponibilità a sottomettersi a ciò che Dio ha pensato per me. Il non smettere mai aveva a che fare con l’ accettare di purificare il proprio desiderio, così da essere liberati dalle proprie anguste misure, dai propri attaccamenti. Pregare allora non è assolvere un obbligo, ma una necessità per vivere e avere il coraggio di stare nella mischia.
Pregare, infatti, non è dire preghiere, pregare è come voler bene. Forse che il voler bene è circoscrivibile a un tempo e a uno spazio? Quando è vero, esso supera il tempo e lo spazio, permane anche quando l’altro non è riducibile a quello che io mi aspetterei da lui. E quando vuoi bene a qualcuno, il tuo cuore è un continuo vibrare e vegliare, un continuo stare sulla breccia. Era così il cuore di Francesco, i cui biografi ci dicono che non era tanto un uomo che pregava, ma un uomo fatto preghiera.
Non prego anzitutto perché la realtà cambi, ma perché muti il mio sguardo su quella situazione. Quando è il mio sguardo a mutare, scopro fratelli e sorelle invece di gente anonima. Riconosco opportunità e non rotture. Intravedo occasioni e non soltanto imprevisti. Denuncio ingiustizie che taluni vorrebbero far passare come furbizie. Scopro bellezza e non noia. Provo passione, non semplice entusiasmo. Mi metto a servizio e non cerco il profitto. Sono capace di restare fedele e non ripetitivo. Esprima autenticità e non omologazione. Ecco cosa fa una preghiera continua.
Mi aiuta a guardare persone e situazioni con la stessa passione con cui le guarda Dio. A ben guardare il nostro tessuto relazionale, troppi sono gli atteggiamenti di incostanza, molte le scelte ripetitive, tanta la paura dell’inedito, forte la difficoltà di saper osare, permanente l’indecisione di fronte a scelte necessarie, anche se impopolari. E così il sentimento ha la meglio sul discernimento, la paura sull’audacia, la ripetitività sulla creatività, lo scontato sulla novità portata dal Vangelo.
Troverà ancora fede? La domanda come sempre non può che restare aperta e come sempre Gesù l’ha rovesciata. Il problema, infatti, non è se Dio farà giustizia, ma se io saprò reggere il suo ritardo. Quale fede? La fede di chi, come la vedova non accetta uno status quo che un uomo senza Dio e senza rispetto per nessuno vorrebbe invece perpetuare. Chi se la sente di fare da capo cordata nell’esperienza di una perseveranza ostinata, mettendo a disposizione la propria esistenza?
(Commento a cura di Don Antonio Savone)