Nel cuore del tempo pasquale, la liturgia ci accompagna con delicatezza verso l’Ascensione del Signore e la Pentecoste. La VI Domenica di Pasqua ci propone una pagina densa e profonda del Vangelo secondo Giovanni (Gv 14,23-29), in cui Gesù, alla vigilia della sua Passione, promette ai discepoli il dono dello Spirito e la sua pace.
Le sue parole risuonano con una tenerezza straordinaria e consolante: “Il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Lo Spirito non viene a sostituire Gesù, ma a rinnovare il nostro contatto con Lui, rendendo presente il Signore Risorto nel cuore della comunità cristiana.
Non porta un messaggio nuovo, ma illumina e approfondisce il Mistero che Cristo ci ha già rivelato. La sua è una “memoria viva”, capace di farci tornare continuamente al centro: il volto del Figlio.
Ma come avviene tutto questo nella vita concreta del credente? È qui che si apre il tema della vita spirituale. Essa non è un lusso per pochi o una dimensione accessoria della fede. È, piuttosto, la qualità interiore di ogni autentica esperienza cristiana. Avere una vita spirituale vuol dire vivere nello Spirito, ossia essere docili a una Presenza che ci abita, che illumina la nostra coscienza, che ci guida nei momenti oscuri, che ci dà forza nelle prove.
Significa accogliere una luce che ci permette di discernere, cioè di riconoscere la volontà di Dio nella complessità della storia e delle nostre decisioni quotidiane. Questo discernimento spirituale diventa la grande arte richiesta oggi alla Chiesa e a ciascuno di noi. Non si tratta di scegliere secondo la logica del mondo o della maggioranza, in base alla nostra intelligenza o sensibilità culturale, ma secondo la logica del Vangelo nella luce dello Spirito.
Nella sua prima omelia, rivolta al collegio cardinalizio dopo la sua elezione, Papa Leone XIV ha detto: “Anche oggi non mancano i contesti in cui Gesù, pur apprezzato come uomo, è ridotto solamente a una specie di leader carismatico o di superuomo, e ciò non solo tra i non credenti, ma anche tra molti battezzati, che finiscono così col vivere, a questo livello, in un ateismo di fatto” (Omelia al Collegio cardinalizio, Cappella Sistina, 9 maggio 2025).
Sono parole forti, che ci mettono davanti a una verità: quando perdiamo il riferimento allo Spirito, quando riduciamo Cristo a un’idea, a un mito o a un’ispirazione morale, la nostra fede si svuota, diventando ideologia, o costume. Lo Spirito Santo, invece, ci restituisce Gesù nella sua pienezza: vivo, presente, operante. E ci dona la pace vera, quella che il mondo non può dare.
Questa pace non è assenza di problemi, ma presenza di Dio, certezza di non essere più soli. Mediante la pace del cuore, dono di Cristo risorto, ci radichiamo nella verità, anche in mezzo alle persecuzioni, avendo luce nella confusione, comunione nella divisione. Questa pace non prescinde dalla croce, ma ne è il frutto maturo, come primo dono del Risorto. Essa non elimina la sofferenza, ma la trasfigura dall’interno.
Affidandoci allo Spirito, che ci insegna tutto, che ci ricorda le parole del Figlio, che ci custodisce nella verità, in questa domenica lasciamoci guidare da Lui verso la nuova Gerusalemme, dove Dio sarà tutto in tutti, e la pace sarà piena e senza tramonto.
(Commento a cura di Don Luciano Labanca)