I DOMENICA DI QUARESIMA
La Prova
La Quaresima viene incontro a noi come un lungo, profondo, utile tempo di preparazione alla Pasqua. Infatti la Quaresima non può essere concepita se non come un sentiero per la Pasqua. Noi Dobbiamo celebrare la Pasqua -che verrà alla fine di questo sentiero quaresimale- che è la vita nuova, che è l’entrata nel regno, che è il dono della Resurrezione per la nostra esistenza, della vita eterna. La vita secondo la figliolanza divina. E questa Pasqua si celebra al termine del percorso perché la si sperimenta durante il percorso. Infatti questi testi che noi leggeremo durante queste domeniche sono il luogo dove si
fa Pasqua, il luogo dove si esce dalla vita vecchia e si entra nella vita nuova. Per questo il tempo della Quaresima non è una ascesi fine a se stessa, un perfezionismo individuale, ma un sentiero di unione con Dio, un sentiero di liberazione.
Perché di fatti la Pasqua parte come la storia di un popolo di schiavi: noi come schiavi iniziamo -abbiamo iniziato con il mercoledì delle ceneri per dire il nostro nulla, la nostra povertà, il nostro punto di partenza che è la nostra fragilità, la nostra inconsistenza, per poter fare il salto nella Eternità di Dio, nella sussistenza di Dio, nella vita che solo in Dio e nella grazia possiamo vivere. E per questo tradizionalmente Cominciamo con la domenica che è dedicata al testo delle tre Tentazioni.
Perché dobbiamo affrontare questo testo?
Questo testo è preparato dalla prima lettura che è la storia della prima tentazione, della prima caduta. La storia del serpente, l’albero e l’uomo che entra in un delirio distruttivo, autodistruttivo. Una pretesa su se stesso che lo porta fuori da se stesso e a non avere più un bel rapporto con se stesso.
Per cui il punto di partenza è la pretesa di diventare come Dio. Il punto d’arrivo sarà la vergogna, il rapporto cattivo con il proprio corpo. Ecco, attraverso questo noi capiamo e possiamo anche un po’ chiederci “Ma perché bisogna misurarsi con le tentazioni? Perché c’è la tentazione? Potremmo anche rifiutare questa logica. Ma perché deve esserci per forza questa storia dell’essere provati, tentati, messi in difficoltà?”
Ecco, dobbiamo ricordare la felice ambiguità, sia nella lingua italiana che in quella Latina che in quella greca che in quella ebraica della parola PROVA. La parola prova può dire sempre due cose contemporaneamente.
Avere una prova può significare una cosa e il suo contrario, può significare avere un momento di difficoltà ma anche avere
una certezza. “Io ho una prova” cosa sto dicendo non è chiaro eppure noi dobbiamo dire ho la prova provata. Certo,
bisogna mettere alla prova per avere una prova, se vuoi avere delle prove devi avere delle prove. Sembra un brutto modo
di parlare ma in realtà è profondo. Certamente ciò che è provato nella nostra vita, ciò che è sicuro, che è stabile, è ciò che è stato saggiato, messo in difficoltà. Per questo l’uomo per arrivare a ciò che è stabile deve veder traballare ciò che non è valido, deve vedere crollare ciò che è inconsistente. Per questo nella nostra vita ci sono delle prove, ci sono dei momenti di
difficoltà, ci sono dei momenti in cui tutto viene messo in discussione.
Ecco. E non possiamo capire il testo del quarto capitolo del Vangelo di Matteo, che appunto ci viene proposto nella liturgia domenicale della prima domenica di Quaresima, se non ricordiamo che viene subito dopo il racconto del battesimo di Gesù. In realtà sono lo stesso testo che si dilunga da una parte all’altra.
Ci basta, infatti, andare a vedere il versetto immediatamente precedente a quello che la liturgia ci propone prima di veder Gesù condotto dallo spirito nel deserto. Il versetto 17 che termina il racconto del battesimo ci da eco della voce del Padre che dice nel battesimo “questi è il figlio mio l’amato in lui opposto il mio compiacimento“. Ciò che avverrà appunto nel deserto è che il tentatore metterà in dubbio questa parola del Padre. La parola da assertiva, la frase da l’affermazione del Padre “Questi è il figlio mio l’amato in lui c’è mia gioia”, diventerà un periodo ipotetico “se tu sei figlio di Dio” verrà messo in dubbio.
Ecco, questa è la storia di ogni tentazione. Ogni tentazione si gioca sulla figliolanza, in ogni tentazione noi siamo lì di fronte a Dio e ci chiediamo “Ma Dio è mio padre veramente sì o no?“.
Ecco, le tre Tentazioni seguiranno con una struttura, con una mappatura antropologica molto importante e profonda sulle cose fondamentali della nostra esistenza. Infatti seguirà questa mappatura. Queste tre Tentazioni seguiranno L’Antico primo e più grande dei comandamenti “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, la mente e le forze”. E allora ci sarà ciò che desideriamo, ci sarà ciò che pensiamo e ci sarà ciò che possiamo operare. E’ lì che si gioca la nostra figliolanza, è lì che si gioca la nobiltà e lo spessore della nostra vita.
La prima tentazione sarà quella degli appetiti ed è sempre quello il principio delle passioni. Come dice il grande Evagrio Pontico il principio delle passioni è la gola, cioè dall’appagamento, dal desiderio, da ciò che bramiamo, da ciò che vogliamo, dagli appetiti dipende tanto la nostra nobiltà. Perché chi diventa schiavo degli appetiti diventa appunto un dipendente, si scivola nelle dipendenze e si degenera in uno stato infantile, in una eterna fase orale.
Possiamo tranquillamente fotografare la nostra umanità in questo testo, in questa tentazione. “Vivere per mangiare” un’assurdità totale. Mentre invece si mangia per vivere che è esattamente il contrario. E allora mentre la proposta è quella di trasformare tutto in pane, cioè trasformare tutto in appagamento, trasformare tutto in compensazione, il figlio di Dio autentico ci insegna la strada della Pasqua mostrando che noi viviamo di ben altro. Non possiamo mangiare di cose piccole “non di solo pane vivrà l’uomo“. Dobbiamo stare attenti a quel solo, cioè così povero è il cibo. Quante volte una persona si risveglia, si rialza da una fase di dipendenza perché si ricorda della sua grandezza. Come succede nel Vangelo di Luca al figliol prodigo che si ritrova a desiderare di mangiare cose degenerate, mangiare come mangiavano i porci, cioè secondo quello che è il cibo dell’animale che non era puro secondo l’ebraismo, a ricordarsi di come si mangia nella casa del Padre. Ecco il Padre ha di meglio da darmi. Qui non si tratta di digiunare per digiunare. Ma si tratta di digiunare per mangiare meglio, si tratta di mangiare secondo grandezza, da figli di Dio. Qui si tratta di passare dai desideri infantili, dai desideri dell’ appagamento che schiavizzano, che rendono dei poppanti eterni, a dei desideri grandi, desideri di bellezza.
Chi ha detto che i bambini stessi non abbiano desideri di nobiltà? I bambini sanno essere eroi.
Chi ha detto che i giovani devono sempre pensare a divertirsi, a passarsela bene? No, i giovani hanno un desiderio anche di oblazione meraviglioso.
E passare a questi Desideri da figli di Dio, secondo la capacità che ha Dio di sfamarci, come chiediamo nel Padre Nostro “Dacci oggi il nostro pane”, di oggi. Vivere secondo un oggi che è Provvidenza. Saper vivere nella Provvidenza, saper vivere nella realtà vuol dire disalienarsi da una tentazione di una vita appunto immatura, infantile, che passa di appagamento in appagamento.
E così le altre due Tentazioni fotografano con una profondità straordinaria l’uomo.
La seconda tentazione è quella di avere delle grandi ideone, salire su un Pinnacolo e risolvere tutto con una grande scena. Forzare la mano a Dio, forzare la realtà dentro una ipotesi, innamorarsi della propria ipotesi, “se salgo sul Pinnacolo del tempio mi butto Dio dovrà salvarmi e a quel punto io inizio la mia missione di figlio di Dio alla grande”. Cioè è interpretare la figliolanza in maniera spettacolare, in maniera forzata.
Sulle forzature quante volte la gente scende a patti con il proprio cervello e fa un’operazione di forzatura sulla realtà perché si è innamorata di un’ipotesi, di un’idea. Quante ipotesi ci hanno distrutto nella vita, quante volte pensavamo che una cosa risolveva tutto ed era solamente una nostra produzione mentale, non era la realtà. E allora il figlio di Dio autentico risponde che a Dio non gli si forzano le mani. Di Dio ci si fida. “Non metterai alla prova il Signore tuo Dio“, lascerai che lui ti salvi. Quante volte stiamo lì che vogliamo intervenire, scalpitiamo per avere a tutti i costi una risposta alla nostra vita e invece dobbiamo aspettare i tempi di Dio che sono diversi dai nostri.
E da ultimo avverrà la fotografia della nostra tentazione materiale: il vivere per il possesso, lo schiavizzarsi, piegarsi ai possessi di questo mondo, piegarsi al potere di questo momento, pensare che possiamo lasciare la grandezza, la dignità della nostra vita in favore di una maggior sicurezza, una maggior garanzia mondana. E risponde il Signore Gesù da figlio quale è: “a uno solo ci si inchina, uno solo si merita la nostra dignità, uno solo sarà quello che adoreremo. Non adoreremo nient’altro che Lui”. Questa è un atto di libertà di dimensioni adulta di totale riscatto dalle schiavitù di questo mondo.
Ecco che bel programma di vita. Attraverso il digiuno, attraverso la preghiera che è l’apertura al piano di Dio e attraverso l’elemosina che è il sottrarsi alla minaccia del possesso liberandosi dal possesso attraverso l’amore, attraverso l’elemosina. Questa è la nostra possibilità. Questo è il grande tempo della Pasqua.
Attraverso questi tre combattimenti possiamo diventare Liberi.
Liberi dalle dipendenze, liberi dalle illusioni mentali, liberi dai poteri di questo mondo.
(Don Fabio Rosini)
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