Come vorresti chiudere la tua avventura umana? Con quali parole sintetizzarla? Ne avessimo la possibilità, i modi sarebbero tanti quanti sono gli uomini. Il Vangelo però ne suggerisce uno che dovrebbe accomunare tutti. Il modo più consono per rileggere l’esistenza di un uomo, lunga o breve che sia, è solo questo: non ho fatto nulla di straordinario, ho compiuto solo ciò che dovevo fare.
Non stava proponendo un atteggiamento di delega che imputa ad altri la responsabilità dell’accaduto, come nel caso di Adolf Eman il quale durante il processo che lo portò alla pena capitale del 1961 si giustificò proprio così, come a volersene lavare le mani “ho solo eseguito gli ordini”. Gesù stava proponendo altro, non lo stile di chi vive le cose come se non lo riguardino, ma quello di chi, come per una sorta di naturalezza che gli sorge dal cuore, porta avanti i suoi impegni senza la preoccupazione del riconoscimento e del plauso, senza cadere vittima dell’ansia da prestazione e lieto soltanto di aver favorito lo scorrere della vita di qualcuno.
È questo il senso di quel “quando avete fatto quel che vi è stato ordinato”. Non si tratta di prendere ordini da qualcuno esterno a noi, ma da ciò per cui siamo stati pensati mentre venivamo preferiti al nulla, quando uscivamo dalle mani di Dio. C’è una inclinazione al bene, al vero, al bello che Dio stesso ha inscritto dentro di noi e che noi siamo chiamati a tenere viva, come ricorda Paolo a Timoteo.
Chi ti ha chiesto, ad esempio, di fare il primo passo verso tua moglie o tuo marito? Chi ti ha imposto di accudire un figlio o di prenderti cura del tuo genitore anziano malato? Chi ti ha suggerito di alleggerire il peso di un amico? Chi ha fatto sì che arrivassi a sopportare persino un momento di fatica con spirito di fede? Prestando ascolto alla voce di Dio che risuona dentro di te, hai sentito che era tuo dovere farlo e perciò hai scelto di compierlo. Di fronte a un ordine perverso, il criminale nazista ha preferito assecondarlo piuttosto che dare ascolto a quello che il suo cuore gli avrebbe dovuto ispirare.
C’è un dovere che noi sentiamo dal di dentro e che si esplica servendo la vita nelle forme e nelle stagioni che ci è dato attraversare. Non siamo servi inutili, siamo semplicemente servi. Servi senza secondi fini. Può accadere di sentirci a posto perché magari portiamo avanti certi impegni o ci diamo da fare per certe iniziative. In realtà, ripete il Vangelo, abbiamo fatto solo quello che dovevamo fare. Siamo stati pensati e voluti proprio per questo. Questo è il modo per rimanere fedeli al progetto secondo il quale Dio mi ha scelto dall’eternità. Non farlo significherebbe venir meno alla mia identità più vera.
Gesù non sta dando un calcio alla nostra autostima, sta solo ricordando ciò a cui siamo chiamati, incarnando una fede dietro le quinte, solo perché non potrei non farlo. Guai a stare nella vita, nei rapporti, persino nel ministero con lo spirito del salariato. A tanto lavoro corrisponde tanta ricompensa. Nessuno di noi è legato a Dio o al suo stato di vita da un contratto, per cui tutto ciò che fai è una prestazione che postula un corrispettivo in termini di gratificazione, di potere o di risultati ottenuti.
Bene a ragione Paolo si chiederà qual è dunque la mia ricompensa? Quella di predicare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo. È un onore per me servire la vita così. Così vorrei chiudere la mia esistenza. “Ho fatto tutto e solo ciò che dovevo fare”.
(Commento a cura di Don Antonio Savone)