Chiesa viva
Oggi la Chiesa celebra la Dedicazione della Basilica Lateranense, la più importante tra le Basiliche papali, perché è la Cattedrale di Roma, la Chiesa madre di tutte le Chiese. Fu edificata subito dopo l’anno 313, quando l’imperatore Costantino, con l’Editto di Milano, concesse libertà di culto ai cristiani.
Lo stesso imperatore donò al Papa Melchiade il possedimento della famiglia dei Laterani e vi fece costruire la Basilica, il Battistero e il Patriarchio — la residenza del Vescovo di Roma — dove i Papi abitarono fino al periodo avignonese. La Dedicazione della Basilica fu celebrata da Papa Silvestro intorno al 324.Essa fu intitolata a Cristo Salvatore, la cui grande statua domina ancora oggi la sommità della facciata. In seguito venne dedicata anche a San Giovanni Battista e a San Giovanni Evangelista, per questo è comunemente chiamata Basilica di San Giovanni in Laterano.
Celebrare oggi questa festa, che cade di domenica, significa rinnovare la nostra consapevole appartenenza alla comunione cattolica, cum Petro et sub Petro. Guardando alla Chiesa di Roma, che — come scrive sant’Ignazio di Antiochia — “presiede nella carità” a tutta la comunione cattolica, siamo invitati a riflettere sul mistero stesso della Chiesa: unita nella fede, nella vita sacramentale e nella comunione con il Santo Padre e i Vescovi, successori degli Apostoli.
Oggi, dunque, non celebriamo tanto un tempio di pietre, quanto la Chiesa viva, Corpo di Cristo, Popolo di Dio, Tempio dello Spirito, costruita con le “pietre vive” che siamo noi. Il brano evangelico di Giovanni (2,13-22), posto subito dopo il segno delle nozze di Cana, ci introduce nel tema del vero Tempio.
Con l’incarnazione del Figlio, “in cui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9), Dio non abita più soltanto in un luogo, ma nella persona stessa di Cristo. Il suo gesto profetico di purificare il Tempio di Gerusalemme, scacciando venditori e cambiavalute, segna il passaggio dal culto antico al culto nuovo: non più fondato su un edificio, ma sul suo Corpo, il nuovo Tempio, che sarà distrutto e in tre giorni risorgerà.
È il compimento delle parole rivolte alla Samaritana: “Viene l’ora — ed è questa — in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità” (Gv 4,23-24). Gesù rinnova il culto, portandolo alla sua pienezza nello Spirito e nella verità. Non si tratta più di “luoghi”, ma di una relazione viva con la sua Persona, mediante la quale rendiamo gloria al Padre e partecipiamo alla vera santificazione. Egli è insieme sacerdote, vittima e altare: in Lui si realizza il culto perfetto.
Come ricorda il Concilio Vaticano II: “La liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal Capo e dalle sue membra” (Sacrosanctum Concilium, 7).
Ma il gesto di Gesù nel tempio ha anche un significato interiore ed esistenziale. Il vero luogo del culto, per ciascuno di noi, è il cuore. Non bastano i riti esteriori se il cuore non partecipa con sincerità. Gesù ci dice: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23). Il cuore diventa dunque il santuario della presenza di Dio, ma richiede purificazione e verità.
San Paolo ci ammonisce: “Ciascuno stia attento a come costruisce” (1Cor 3,10). Nel tempio del nostro cuore non può esserci spazio per la doppiezza, l’interesse, il tornaconto; deve essere luogo di gratuità e di amore puro. Così come Gesù purificò il tempio di Gerusalemme, Egli desidera purificare anche noi con la sua “frusta di cordicelle”, liberandoci da ciò che è menzogna e materialità, per farci diventare dimora degna della sua presenza e veri adoratori del Padre in spirito e verità.
In questa festa in cui celebriamo le pietre vive, cioè la comunità dei battezzati, ricordiamo la grazia che attraverso la Chiesa si diffonde come un fiume, raggiungendo ogni angolo della terra, persino le periferie più lontane, fisiche ed esistenziali, per dissetare e guarire l’umanità. In questa festa, contempliamo la maternità della Chiesa, che non teme di sporcarsi le mani pur di condurre molti alla verità e alla vita di Cristo.
Nessuno è estraneo nella Chiesa: tutti siamo chiamati a dissetarci alle sue sorgenti di grazia e a lasciarci guarire dal suo Signore. Che il Signore ci insegni ad amare sempre con cuore sincero Lui e la sua Chiesa!
(Commento a cura di Don Luciano La banca)